Storia e Folklore Calabrese

di Domenico Caruso


Storia della Calabria

Donna Vincenza Femìa

La storia di un popolo non è soltanto opera di noti personaggi, ma è anche il frutto dei più umili che - senza alcuna pretesa - hanno sopportato grandi sacrifici per il bene della comunità.
"Laureana e Borrello mantennero sempre con fierezza un elevato spirito religioso, che divenne luce nelle tenebre del passato, forza nella lotta ai soprusi, fiducia in un mondo migliore. E ciò venne esternato dal vivo interessamento e dalla generosa operosità che prestarono sempre i loro cittadini alle sontuose costruzioni di chiese, conventi e cappelle…", ha sostenuto Padre Fedele Fonte nella sua pregevole monografia: "Laureana di Borrello" - (Frama Sud, 1983).
Fra i numerosi luoghi sacri che vanta il rigoglioso Centro della Piana, il fiore all’occhiello è rappresentato dalla Chiesa Madre intitolata a Santa Maria degli Angeli e San Gregorio Taumaturgo.
Innalzata diversi secoli or sono sulla distrutta chiesa del Monastero dei Basiliani e rivolta ad Oriente, dopo l’ultimo restauro si presenta in tutto il suo antico splendore. Ma sarebbe stata realizzata altrove se, dopo la sua demolizione dovuta ai ripetuti movimenti sismici che l’avevano resa pericolante, non si fossero imposti l’indomito coraggio e la profonda fede di donna Vincenza Femìa. La sua azione non si rivelò vana se, alle memorabili esequie della Domenica delle Palme del 1973 per la sua morte, l’intera cittadinanza - visibilmente emozionata - le rese i dovuti onori. La novantenne donna suggellava, ormai, il suo nome fra le gloriose pagine della nativa Laureana.
Il giorno seguente, a buon diritto, si poteva leggere sulla sua tomba l’invito evangelico da noi proposto: "E fattasi sera, chiamandola per nome, Gesù le disse: Passiamo all’altra riva!"
La vita di donna Vincenza sembra soffusa di leggenda. La sua modesta e ordinata dimora, sempre olezzante di fiori freschi, fu meta di fedeli d’ogni ceto sociale che giungevano anche dai paesi vicini per una parola di conforto e di speranza. Tanti contadini, prima di recarsi nei campi per il duro quotidiano lavoro, vi entravano a segnarsi con l’acqua benedetta sempre a loro disposizione sulla candida tovaglia davanti ad un’artistica immagine del Divino Bambino.
Ma rifacciamoci allo straordinario racconto, "vox pòpuli", che abbiamo raccolto pure dalla viva voce di nonna Femìa.
Il violento sisma del 28 dicembre 1908, che ridusse ad un cumulo di macerie le città di Reggio e di Messina, seminando terrore e morte anche in altre cinquanta paesi sparsi su una superficie di oltre seicento chilometri quadrati, aveva gravemente lesionato una parte dell’altare maggiore della Chiesa Parrocchiale di Maria SS. Degli Angeli di Laureana.
Pertanto, le autorità avevano ritenuto opportuno chiudere quest’ultima al culto dei fedeli e le sacre funzioni venivano celebrate nel Convento di S. Antonio.
Solo la campana, il cui squillo argentino giungeva fino a Rosarno, suonava ancora il mattutino, il mezzogiorno e l’Ave Maria. Ma dopo alcuni mesi, nell’aprile 1909, domenica di Pasqua, essa avrebbe dovuto dare gli ultimi rintocchi che più di un richiamo gioioso sarebbero parsi un triste commiato.
Donna Vincenza, appresa la notizia, quella notte non riuscì a prendere sonno e meditò sul da fare. All’alba, lunedì dell’Angelo, bussò alla porta di vicine e lontane e tutte insieme penetrarono nel tempio. Suonarono, quindi, le campane a distesa facendo accorrere molte altre persone. Tutti si prodigarono a pulire gli altari e i pavimenti, sotto i quali riposavano i defunti in grazia di Dio. Alle otto fu convocato un sacerdote per la celebrazione di una Messa solenne.
Terminate le cerimonie, irrompevano nella chiesa gremita di fedeli il sindaco, quattro carabinieri e una guardia municipale.
Allo squillo di tromba di un gendarme, il primo cittadino ordinò lo sgombero del locale. Le porte vennero chiuse, ma i cuori dei laureanesi fremevano ancora.
Con l’obolo dei fedeli ed una cospicua somma di denaro ricevuta dal Sommo Pontefice, informato dell’accaduto, alcuni mesi più tardi il tempio fu restaurato.
Nel marzo 1933 un altro sisma lesionò la Chiesa che nuovamente veniva interdetta al culto. Ma Vincenza Femìa, seguita dalle amiche più fidate, non si diede per vinta e riaprì la casa di Dio: questa volta però tutte vennero fermate e imprigionate.
Al processo che seguì da lì a poco, la pia donna, definita una "nuova Giovanna D’Arco", e le sue compagne furono rilasciate con l’intimazione di non interessarsi più di quel luogo sacro.
Non trascorse molto tempo che, con un tranello, fu concesso alla nostra "eroina" di abbattere la Chiesa: era presumibile che dovesse edificarsi sul posto e più maestosa. Donna Femìa - fiduciosa - con quattro carri, trentasei donne e quattro uomini iniziò l’opera di demolizione. Al termine, però, si accorse con amarezza che il Vescovo della Diocesi e l’ingegnere del Comune si erano recati nella località "Alfonsello" per esaminare il terreno sul quale sarebbe creata la nuova chiesa.
Senza perdersi d’animo, allora, si prodigò per convincere le autorità a ritornare sui loro passi e far desistere il Vescovo dall’iniquo proposito.
La sua perseveranza aveva trionfato e il sacro tempio, finalmente, sorse sull’area preesistente, donde il detto: "Se no' fussi pe' donna Femìa, a' Chiesa Matri non si facìa".

(Il servizio di Domenico Caruso dal titolo: ‹‹Una nuova Giovanna D’Arco›› - "Si tratta di Vincenza Femìa, una popolana che si battè per la locale chiesa" - è stato pubblicato sul mensile "LA PIANA" - Palmi - Anno III n. 1 - Gennaio 2004).

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