Storia e Folklore Calabrese

di Domenico Caruso


Storia della Calabria

Francesco Sofìa Alessio
Poeta e umanista taurianovese

Le date della sua vita:

18/09/1873 - Nasce a Radicena (ora Taurianova) - prov. di Reggio Calabria - da Casimiro Sofìa e Rosina Alessio (da Molochio). All'anagrafe comunale le sue esatte generalità sono: Francesco Achille Ferdinando Sofia Alessio.
Al cognome paterno si aggiunge quello della madre per distinguerlo da un congiunto omonimo.

1877 - Rimane orfano del padre a quattro anni.

1894 - Si prepara da sé e consegue la patente di maestro di grado inferiore a Messina e due anni dopo quella di grado superiore.
Compone una prima elegia e un'ode in metro manzoniano: Alla Vergine SS. della Montagna, che aveva operato grandi prodigi.

1896 - Chiamato dal Vescovo nel suo Seminario di Gerace Superiore per cinque anni (1896-1901) insegna storia, geografia, lingua francese, matematica e scienze naturali nelle due ultime classi di quel ginnasio.

1901 - Per un anno insegna privatamente a Mammola nelle scuole elementari e poi - per aver scritto una satira contro il sindaco del tempo - viene allontanato.

1902 - Insegna per una anno a Radicena.

1903 - Insegna per quattro anni (1903-1907) nelle scuole comunali di Molochio.
Presenta al concorso Hoeufftiano di Amsterdam il suo primo carme Polus - che canta della pesca della balena e dei fenomeni polari; il poemetto viene bene accolto. Alla stessa Gara di poesia latina parteciperà per molti anni, come in seguito riportato.

1905 - Il poemetto Augustae Taurinorum feriae in honorem reginae mercatus, che tratta delle feste torinesi in occasione dell'elezione di una reginetta di bellezza, viene giudicato satis laudabile.

1907 - Riporta la prima magna laude col carme Duo Magi: Luciano e Marciano, due uomini che esercitavano la Magia nell'Asia Minore, convertiti al Cristianesimo subiscono il martirio.
Il 16 Maggio sposa Concetta Ursida. Dal matrimonio il poeta ha quattro figli:
Pasquale, Luigi, Giulio e Ines.

1908 - Dal mese di dicembre, e per gli anni successivi, insegna nelle scuole elementari di Radicena. Riporta la seconda magna laude col carme Vis electrica - che canta i vari fenomeni dell'elettricità e le sue applicazioni.

1911 - Ottiene la terza magna laude col Petronius: Petronio, caduto in disgrazia di Nerone, si fa svenare durante un banchetto. Il carme viene classificato secondo, dopo il Fanum Vacunae del Pascoli.

1912 - Quarta magna laude col carme Plotinus: il filosofo neoplatonico egiziano intende restaurare la religione pagana.

1913 - Quinta magna laude col carme Duo insontes: due figli innocenti di Seiano vengono fatti uccidere da Tiberio.

1914 - Sesta magna laude col carme Vitus: un nobile e orfano fanciullo siciliano, educato dalla madre alla religione cristiana, subisce il martirio sotto Diocleziano.

1916 - Settima magna laude col carme Vita Rustica, che tratta la fondazione del piccolo borgo di Casalnuovo (oggi Cittanova).

1917 - Vince la Medaglia d'Oro col carme Sepulcrum Joannis Pascoli di 224 versi (canto celebrativo in memoria del poeta romagnolo) e una magna laude con l'elegia Reliquiae (affettuosa commemorazione dei due figlioli morti in tenera età).

1919 - Nona magna laude col carme Pax Natalicia, canto di esaltazione natalizia e della pace.

1920 - Altra grande Medaglia d'Oro ad Amsterdam col carme Ultimi Tibulli dies di 230 versi, in cui canta gli ultimi giorni del poeta latino ormai presago della sua fine.

1921 - Terzo premio d'Oro col carme Asterie di 319 versi. E' la storia della sposa di un console romano che, venendo a conoscenza dei miracoli e del Calvario di Gesù, diviene cristiana.

1922 - Decima magna laude col carme Vergilius agello expulsus, che ricorda Virgilio scacciato dal suo campicello.

1923 - Undicesima magna laude col carme Spes Vergiliana, dove canta la speranza di Virgilio nella venuta di un redentore.

1924 - Dodicesima magna laude col carme Pauperrimus bonorum: nel centenario delle Sacre Stimmate, ricorda la storia e i miracoli di S. Francesco.

1928 - Viene nominato bibliotecario a Reggio Calabria.

25/08/1931 - Scrive la relazione del miracolo, operato dalla Vergine Maria SS. della Montagna la sera del 9 settembre 1894 a Radicena.

1936 - Ancora un riconoscimento col carme Feriae montanae, dove esalta le feste in Aspromonte e la figura della Madonna - della quale è molto devoto.

14/04/1943 - Chiude i suoi giorni a Reggio Calabria.

14/04/1993 - In occasione del cinquantesimo anniversario del decesso, le spoglie mortali del poeta vengono tumulate nel Cimitero di Radicena.

Dalle brevi note biografiche si rileva l'eccezionale personalità poetica dell'umile maestro di Taurianova, il più grande latinista del mondo dopo la scomparsa di Giovanni Pascoli avvenuta nel 1912.
Come testimonia Padre Giovanni Semeria: "In un paese dove molti professori di latino non sanno scrivere né un periodo né un verso nella lingua di Cicerone e di Virgilio, era giusto che uno scrittore inesauribile di bei versi latini rimanesse confinato nei banchi di una scuola elementare. Nel paese della camorra F. Sofia Alessio non ha appartenuto e non appartiene a nessuna cricca né vecchia né nuova".
Scrive ancora Semeria: "Quale delle varie unioni magistrali, clericali o anti ha levato la voce, ha mosso un dito per lui? Sono venuti a scovarlo gli stranieri.
E' venuta la gloria. E' arrivata da Amsterdam. Due, tre volte lassù si sono accorti che a Radicena c'è un poeta latino, vero poeta latino. Ad Amsterdam se ne sono accorti. A Roma no"
.
"Nemo propheta in patria": le autorevoli proteste riportate sono di un'attualità sconcertante. A Taurianova ben pochi tuttora conoscono l'uomo che con il suo ardore missionario e la sua perseveranza seppe esprimere l'integrità dei costumi, la saggezza e la religiosità dei nostri padri, per mezzo della lingua che rese Roma maestra delle genti.
"La fiaccola dell'umanesimo", afferma Giuseppe Olivadoti, "passò dal Pascoli nelle mani di F. Sofia Alessio e la sua luce brillerà sempre più viva nell'amata terra di Calabria e nel mondo. I suoi carmi sopravviveranno attraverso il mutare dei tempi e degli eventi storici, fino a quando sopravviveranno i sentimenti più nobili e gentili dell'umanità".
"Le creature di Alessio", sostiene Mons. Francesco Aloise, "sono creature vive e palpitanti. La loro storia è la nostra storia. La poesia gli sgorgava spontanea e quasi di getto dalla fantasia e dal suo cuore nobilissimi".
Per valutare la figura del nostro grande incompreso, occorre accostarci allo studio delle sue opere.
Ci soffermeremo, pertanto, a considerare i principali poemetti che gli valsero tre grandi Medaglie d'Oro.

"Sepulcrum Joannis Pascoli"
Il carme è rivolto al mite cantore della natura, che riposa nel piccolo cimitero di Barga "ubi demulcet cantu Corsonna colonos" ("dove fluendo ai pii coloni canta la Corsonna" - secondo l'interpretazione metrica dell'amico prof. Antonio Orso).
     "Heu! iam non illum tacita regione vagantem
     aspicit intentus densa de sepe bubulcus:
     non illum videt alma Soror, quae prospicit amens
     num redeat frater: maerens dolet usque gemitque".

("Non più il bifolco della selva, ahimè!\ vagare lo vedrà pei dolci campi\ né la sorella più lo attenderà:\ a lei non resta che il dolore e il pianto").
     "Dulce queruntur aves: hospes singultit hirundo:
     at circumvolitat per opaca sepulcra nigella".

("Gemon gli uccelli e pei sepolcri opachi\ la rondine singhiozza e vola intorno").
     "Ales visa queri: congemit hospita,
     hospes dum sub humo dormit amiculus".

("La rondinella si dispera:\ l'amica piange mesta\ perchè il poeta dorme solo,\ abbandonato"). Ma ecco la voce del poeta che si fa sentire:
     "Hic tandem iaceo gremio telluris in almo;
     hic viridi clivo molliter ossa cubant".

("Qui finalmente giaccio senz'affanni\ nell'almo grembo dell'amata terra;\ qui sopra un verde clivo dolcemente\ trovano pace le mie stanche membra").
Il Pascoli prosegue ricordando la sua dolorosa vita di orfano accanto alla dolce sorella. Egli "da ombra" può adesso rivedere quei luoghi che gli furono familiari, allietati da una natura meravigliosa.
Ed ancora:
     "Frontem tum video fulgentem luce paternam,
     olim quae duro vulnere laesa fuit".

("Qui rivedo la fronte di mio padre\ colpita a morte da assassina mano,\ ed una luce che vi brilla dentro").
Pure la Madre lo accoglie con amore e assieme ripercorrono il passato, "liberi da pene e da tristezze". A questo punto il poeta torna ai cori dell'Eliso. Accompagnato, quindi, da Orazio e da Virgilio, incontra in un'armoniosa cornice i personaggi dei suoi componimenti latini.
     "At caput est sacrum, venerabilis ara sepulcrum".
("Il corpo è sacro ed il sepolcro è un'ara").
Al calar dell'ombra della notte, la sorella Maria fa visita al poeta e prima di allontanarsi gli augura la sospirata pace.
"La vera grandezza dell'Alessio" - scrive il prof. Giuseppe Olivadoti - "si rileva nel carme 'Sepulcrum Joannis Pascoli'. Molti scrittori dal Mingarelli al Pellacchia, dal Gandiglio al Rosati, hanno tentato - ma con scarsa fortuna - di rievocare, in occasione della morte del Pascoli, le sue effusioni poetiche. Ma soltanto l'umile maestro di Radicena ha saputo esprimere la fisionomia spirituale del Pascoli, rievocare la sua mirabile arte ed additare agli italiani il culto degli ideali.
In questo componimento l'Alessio rivela la sua delicata vena poetica, la profondità del suo sentimento, la squisita gentilezza del suo animo che si piega per piangere sulla tomba dell'amato poeta. I versi scorrono a guisa di melodiose note musicali. Ogni parola ha una sua particolare vibrazione, un suo particolare respiro.
Vibra nel carme una vivida aria di classicismo, scossa da fermenti di problemi, di sociale e cristiana umanità. Mirabile e suggestiva la descrizione del vespro e la figura della sorella del Pascoli che, quale vergine dolente, avanza tra le ombre dei sepolcri; afflitta tocca coi ginocchi la terra e abbraccia il funereo tumulo del fratello. Le sembra allora di contemplare il fratello stesso, di accarezzare il suo volto, di ascoltare la dolce loquela"
.
"Il mirabile carme (sostiene ancora Olivadoti) si chiude con l'invito alla pace, desiderio costante del Pascoli e dell'Alessio, poeta francescano vivente, secondo la degna qualifica di P. Semeria."
     "Pax, gentes, pax in terris; absistite bello".
("Sia pace sulla terra; o genti, pace").

"Ultimi Tibulli dies"
Il poemetto polimetro è giudicato il più bello della produzione di F.Sofia Alessio. L'intera vicenda è dominata dalla soffusa tristezza del poeta lirico Albio Tibullo, del I secolo a. C.
Se le notizie della sua vita a noi giunte sono scarse, non altrettanto può dirsi della sua opera, il cui tema essenziale è l'amore.
L'azione ha inizio "in quel di Peda":
     "Omnes in silvis volucresque feraeque silebant:
     at vigil in tenebris pressus languore iacebat
     Albius, atque humili versabat membra grabato".

("Tutti gli uccelli e le belve nelle selve\ posavano in silenzio, intimoriti.\ Nelle tenebre steso sul suo letto\ Albio vegliava oppresso dal languore").
Soltanto allo spuntare dell'Aurora, quando i galli annunciano il nuovo giorno, gli occhi del poeta latino si concedono al sonno. Ma l'atterrisce l'ombra della morte:
     "Feralem videt ille cubans procedere pompam,
     atque simul cum matre pia lugere sororem
     ante rogum, passisque comis miratur amantes".

("Vede nel sogno un funebre corteo,\ la madre e la sorella innanzi a un rogo\ e in pianto anche le amanti addolorate").
Tibullo, allora, si sveglia e s'avvia verso una fresca fonte.
Il paesaggio idillico e sereno che si apre ai nostri occhi è meraviglioso.
     "At tacitus, veniente die, iam maeret ad umbras:
     hic inscripta videt praedulcia nomina truncis:
     Delia corticibus legitur Nemesisque tenellis".

("E mentre sorge il giorno, all'ombra piange:\ sui tronchi vede incisi nomi cari:\ Delia, si legge alle cortecce, e Némesi").
A quei ricordi scioglie il suo canto e il suo saluto alle cose che gli furon care: ai campi, alla villetta, ai ruscelli, all'amata Delia.
     "Et fudi lacrimas; te supplice voce rogavi,
     sertaque iam posti nocte silente dedi".

("E per te piansi e supplicai devoto\ e serti nella notte ti composi").
Un profondo dolore procura a Tibullo la malattia della donna amata. Ed ora un'altra fiamma lo consuma: Némesi, per la quale infelice trascorre la notte e il giorno, mentre ella vive fra il lusso e gli agi.
     "Insanus Luxus teneros infecit amores:
     ah! pereant causae tristis avaritiae".

("Il lusso insano guasta anche gli amori:\ possa morire ovunque l'ingordigia!").
Il poeta rammenta con nostalgia i bei tempi andati, prima che la "casta Pudicizia" fosse scomparsa.
Anche se Némesi si dimostra ingrata, il suo richiamo è irresistibile. Tibullo sente già venirgli meno le forze e gradirebbe rivedere Roma e la sua Padrona.
     "Me soror et mater corde micante manent".
("Or mi rimane solo la sorella\ con la pia madre addolorata e in pianto").
S'avvia così sul carro verso l'Urbe, dove incontra l'amico Orazio il quale, vedendolo così depresso, cerca di rincuorarlo. Ma:
     "Pallorem Flaccus mortemque in fronte cubantem
     suspexit, fructumque dolens miseratur amicum".

("Sopra la fronte pallida di morte\ Flacco la fine prossima vi legge\ e addolorato piange l'infelice").
I due si licenziano e il carro riparte verso la casa del poeta, dove l'attendono i familiari.
Al letto di morte giunge, finalmente, inaspettata Némesi e con lei Tibullo, "con un fil di voce" (flebilis), intesse un dolce colloquio d'amore. Conferma la sua passione:
     "Non alter, tamquam tuus Albius, arsit amore:
     te, veniente die, te iam labente, vocavi,
     atque tuo potui componere nomine versus".

("Nessuno mai t'amò dell'amor mio:\ io t'invocavo all'alba ed al tramonto\ e a te pensando componevo i versi").
E fra i teneri abbracci e i caldi baci, il poeta chiede a Némesi una degna sepoltura:
     "Mox moriar, manibusque piis tu lumina condes.
     Ante rogum flebis longos incompta capillos".

("Presto morrò, e sarai tu che il velo\ sugli occhi stenderai con le pie mani.\ Senza ornamenti e coi capelli sciolti\ innanzi al rogo verserai il tuo pianto").
Così dicendo Tibullo impallidisce e la sua bella anima s'avvia "verso le care spiagge dell'Eliso".
Le stanze risuonano delle grida della madre e della sorella, unite a quelle di Némesi e di tutta Roma. Anche:
     "Delia, primus amor, lugens ad funera currit".
("Con gli occhi in pianto corre al rogo Delia,\ che il primo amore fu del buon Poeta").

"Asterie"
Col carme polimetro "Asterie" Alessio nel 1921 ha ottenuto al certame hoeufftiano di Amsterdam, per la terza volta, la medaglia d'oro.
La scena, in un primo tempo, si svolge ad Alessandria d'Egitto presso la riva del Nilo.
Qui Asterie vive col marito console, ma è malata e "attamen horrificis visis turbatur anhela" ("da visioni orrende ella è turbata").
Prega, pertanto, il marito di narrarle vicende di "guerre e scontri dubbi" o "della foresta orrenda e nera" dov'egli entrò silenzioso.
Molto sangue romano là fu sparso e Varo sconfitto si diede la morte.
"At vos exanimis maesti suprema tulistis,/ relliquiasque pie tumulis iam rite dedistis".
("E voi, afflitti, deste onore ai morti/ e con pio rito tumulaste i resti").
Dopo aver ricordato la strage dei ribelli, operata dai nostri, il marito introduce un soldato da poco giunto dall'Asia "che narra favolosi avvenimenti".
Il prode saluta Asterie ed incomincia a parlare di un Maestro, "mitis homo, simplex, pauperrimus atque bonorum" ("un uomo mite, semplice e assai povero").
"Secretis specubus requiescit nocte silenti./ Aut cubat in foliis sub tegmine pinguis olivae". ("Riposa quand'è notte in grotte ignote/ o dorme sotto un albero d'olivo/ e per coperta ha solo verdi foglie). Percorre villaggi e città "recando pace/ ai sofferenti con parole amiche".
Ed ancora, dà la vista ai ciechi, "la voce ai muti, la scioltezza agli arti".
Il soldato lo vide coi suoi occhi parlare alle immense folle "e, d'ogni parte, a lui/ correvano i fanciulli tenerelli". Tutto obbediva al comando di quel Maestro: "la terra, il cielo, il mare, i cuori umani".
"Ipse quidem siccis pedibus tenuisse per undas/ fertur iter". ("Si dice poi che camminò sul mare/ e sempre asciutti fossero i suoi piedi").
Una volta il Maestro si mise in barca coi discepoli e prese il largo. La notte era tranquilla ed Egli s'addormentò, ma una spaventosa tempesta scosse i marinai, i quali: "clamant simul ore: Magister,/ ecce perimus, ades, nunc expergiscere, sodes". ("Gridano insieme: svegliati, Maestro,/ moriamo tutti, salvaci, se vuoi").
Ma il Maestro li rimproverò: "Quid dubitatis, Amici?/ clamat; parva fides vobis est, pellite curas". ("Di che voi dubitate, amici miei?/ V'è poca fede in voi; siate sereni").
E alzando le mani al cielo calmò le acque.
A questo punto:"Come lo chiama il volgo?" Asterie chiede. - "Lo chiamano Gesù, i derelitti". - Segue la narrazione del centurione che, addolorato per la grave infermità del suo servo più caro, si rivolge a Gesù il quale assicura la sua intercessione.
"Centurio mirans humili tum corde: Magister,/ ignosces mihi: tanto non ego dignus honore./ O bone, nunc satis est unum te dicere verbum./ Ipse quidem jubeo, miles mea jussa facessit".
("In umiltà di cuore il Centurione:/ - Perdonami, Maestro; io non son degno/ di un così grande onore; io non son degno./ Ora mi basta, o buono, una parola,/ una parola sola che tu dica./ Quand'io comando, il milite obbedisce - ").
E' sufficiente una parola del Maestro per operare il miracolo e così avviene. Asterie prega il marito di accompagnarla in Asia, a vedere Gesù, essendo ivi procuratore di Roma Ponzio Pilato. "Undique deveniunt pueri innuptaeque puellae,/ gestantes ramos aleae palmaeque virentes". ( "Da ogni dove bimbi e verginelle/ vengono avanti e recano festanti/ di olivo e palma verdeggianti rami"). Tutti s'inchinano al figlio di Davide che passa su un asinello.
Asterie giunge, infine, dolente sopra una lettiga da Pilato. Di un gran tumulto è invasa la casa e la donna ne chiede il motivo. Il procuratore romano risponde che stanno conducendo per essere condannato a morte l'innocente Gesù. "Iam crucifigatur, clamat ferus ore popellus,/ iam parat immeritum iudex demittere morti". ("Il popolino con blasfeme voci/ - sia crocifisso - grida forsennato,/ e il giudice si appresta a quel misfatto").
Pilato narra desolato alla matrona come si fosse lavate le mani e lasciato il popolo a giudicare quel giusto. Asterie vuole vedere Gesù che, sotto il peso della croce e con una corona di spine si avvia al Calvario. Trasportata su una lettiga inorridisce nel veder maltrattare così duramente il Cristo. Si fa portare sempre più vicina e "non si sazia di guardarlo".
"Progenies es vera Dei! simul ore susurrat:/ leniter atque movet bene dicens Ipse labella".
("E poi sussurra senza che si avveda:/ da Dio discende, in verità costui!: muove Gesù le labbra a benedire"). Asterie, allora, spera salute.
Giunto in cima, il Re dei Giudei viene posto sulla croce fra due ladroni.
"…Luget/ infelix mater, dolet atque immobilis haeret". ("Piange e si duole l'infelice madre/ e immobile rimane accanto a lui").
E mentre guarda desolata Gesù, pregando con la mente, Asterie sente il suo corpo prendere l'antico vigore.
Cristo muore, il cielo si oscura, la divina madre rimane addolorata a fissarlo.
"Centurio similis meditantis: Scilicet, inquit,/ progenies erat iste Dei!". ("E il Centurione dice pensieroso:/ - Di Dio davvero era costui il Figlio! - ".
Prima di fare ritorno Asterie guarda ancora pietosa i luoghi del misfatto. E:
     "Tertia lux nigram caelo dimoverat umbram,
     cum sibi visa cubans voces audire canentes:
     dulce, micante die, modulamen personat aures.
     Surrexit! Evae plaudite filii,
     surrexit! Ira Tartarus infremit:
     surrexit, et Mortem peremit,
     aspera quaeque ferens, Redemptor".

("Già l'alba terza rischiarava il cielo/ quando, dormendo, le sembrò di udire/ coro di voci, dolce ai primi albori:/ E' risorto! Figlioli di Eva;/ è risorto! Ora il tartaro freme:/ è risorto, e portandosi i mali,/ il Redento ha sconfitto la Morte").
Asterie scende dal letto e vede aprirsi il cielo. L' "Uomo insigne" le sorride e le tende le mani forate sulla Croce. "Obstupuit coniux tremebundus: Eamus ad Ipsum,/ inquit".
("Lo sposo resta attonito e tremante:/ - Andiamo a Lui - poi dice") e s'avviano verso il Sepolcro che trovano con la pietra rovesciata senza il corpo dell'amato Gesù.
Lì una donna, "attonita anche lei", piange e invoca il dolce amico.
"Tum vox: Surrexit, non est hic, intonat". ("Intanto una voce come un suono d'arpa:/ - Egli è risorto, non è qui tra voi - ").
Asterie e il marito adorano quel luogo e ringraziano il Cristo risorto.
La bellezza e la musicalità del carme, nonché lo spirito francescano che da esso traspare, ci rendono orgogliosi del nostro grande poeta che ogni calabrese dovrebbe conoscere.

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Copyright © 1996 Domenico Caruso